Nel suo primo lavoro da regista Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, ci regala una pellicola in salsa agrodolce, una commedia che diverte e commuove.
Il filo conduttore del film è l'infatuazione di Arturo per la sua allora compagna di banco Flora; una storia d'amore che altro non è che il pretesto per raccontare gli episodi di cronaca accaduti in Sicilia tra gli anni '70 e '90. Il protagonista, infatti, nasce e cresce a Palermo e attraverso il suo sguardo innocente, tipico di ogni bambino, scopriamo cosa significhi davvero convivere con la mafia in una città dove regna l'omertà: alla domanda sul perché la gente viene ammazzata gli adulti rispondono «che è tutta questione di femmine».
Nel raccontare questa storia, Pif prende spunto dalla sua vita personale, ma più in generale dalle esperienze dei molti palermitani costretti a confrontarsi con il mondo mafioso. Questo lungometraggio riesce a mettere in luce la potenza della mafia, che penetra di nascosto nella vita di tutti i giorni, obbligando ogni personaggio a trovare un equilibrio per cercare di far convivere aspetti della vita assai diversi: esperienze quotidiane, come innamorarsi e andare a scuola, con le crude uccisioni. Nel prosieguo del film si nota anche la mutazione della città di Palermo, passando dall'assordante silenzio che quasi giustifica la mafia sino alla ribellione dei cittadini che partecipano con trasporto ai funerali del Generale Dalla Chiesa.
Passando alle note artistiche, Pif si è portato dietro la voce fuori campo che usa nel Testimone, espediente che non convince del tutto in quanto rende delle scene, di per sé piene di forza espressiva, molto didascaliche senza esserci, per altro, delle esigenze giornalistiche a giustificarlo. Altro aspetto che stona sono certi elementi lasciati sullo sfondo, in primis il fratello del protagonista che appare solo nella scena dell'ospedale per poi finire nell'oblio. Al regista il talento comunque non manca, forse non ha ancora trovato un linguaggio che traduca efficacemente il suo sguardo, ma questo come la tecnica si può acquisire col tempo.
Ricapitolando, "La mafia uccide solo d'estate" è un film che fa sicuramente riflettere, che parla della nostra storia e di quella di uomini e donne che hanno combattuto fino alla morte. Tutto questo però non è trattato in maniera pesante, l'intento e sì quello di far pensare, ma con un sorriso e divertendo. Chi l'ha detto che non si possono affrontare temi spinosi e importanti con una nota di umorismo? Non manca poi l'aspetto più serio, difficile per esempio non commuoversi per il finale del film, che ovviamente non racconto, ma che merita di essere visto, per cui consiglio, a chi non l'avesse già fatto, di recuperare questa piccola chicca del cinema italiano.
Chiudo questa mia recensione con le parole dello stesso regista, Pif, che mi sembra racchiudano efficacemente certi significati che il film trasmette: «La "sveglia" a me come a quelli della mia generazione ce l’hanno data le stragi del ’92, le morti di Falcone e Borsellino. Inconsciamente tutte le persone uccise dalla mafia ti spingono a fare delle scelte. Ed è grazie a loro che le conseguenze di queste scelte oggi non sono più violente. Ad esempio: io ho girato il mio film a Palermo senza pagare il pizzo a nessuno. Se l’ho fatto è grazie a chi è venuto prima di me»
-D.R.Cobb-
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